Un traffico di esseri umani tra Africa ed Europa, in mano ad un’organizzazione senza scrupoli della quale, secondo gli inquirenti, faceva parte anche un cittadino guineiano di 27 anni residente a Rimini. L’uomo, operaio per una ditta di posa della fibra elettrica, è stato fermato nell’ambito di una maxi operazione condotta dalla squadra mobile di Catania e denominata "Landayà", che in lingua dioula (parlata in Burkina Faso, Costa d’Avorio e Mali) significa "fiducia". I fatti contestati al 27enne non si sarebbero però verificati a Rimini, ma in altre Regioni italiane, prima del suo trasferimento in Riviera. Diciassette le persone sottoposte a fermo, mentre otto non sono state rintracciate perché non presenti in Italia. All’operazione ha collaborato anche la squadra mobile di Rimini. Gli indagati sono accusati di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, aggravata dall’aver agito in più di dieci persone, e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina pluriaggravata dall’avere agito in più di tre persone in concorso tra loro, e per avere commesso il fatto al fine di trarne profitto anche indiretto e dalla transnazionalità. Il gruppo criminale era composto da cittadini della Costa d’Avorio, Guinea, Mali e Burkina Faso, proprio come la maggior parte dei migranti che gestiva. Secondo la ricostruzione, l’organizzazione attirava i "clienti" offrendo loro un servizio completo, garantendo il trasporto dal Paese d’origine dei migranti clandestini, sino alla loro meta negli stati dell’Unione europea, in particolare la Francia, ma solo alla fine rivelavano il prezzo del servizio, garantendosi in questo modo l’impossibilità garantendosi in questo modo l’impossibilità del rifiuto. L’analisi delle postepay utilizzate per i movimenti di denaro ha evidenziato transazioni per circa 800mila euro. Dalle intercettazioni è emerso inoltre che in molti casi, oltre al pagamento in denaro, i trafficanti di esseri umani riscuotevano anche prestazioni sessuali.
La tratta degli esseri umani e il gruppo GRETA
Il Gruppo di esperti del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani (GRETA) ha pubblicato in data odierna il suo rapporto annuale per il 2021. Nel corso del 2021, il GRETA ha compiuto numerosi progressi, malgrado le difficoltà legate alla pandemia da Covid-19, e ha proseguito e sviluppato la sua cooperazione con altri organi del Consiglio d’Europa e altre organizzazioni internazionali, come pure con la società civile, con l’obiettivo di prevenire e contrastare la tratta di esseri umani. Il GRETA ha effettuato missioni di valutazione in 10 paesi e ha adottato i rapporti sul terzo ciclo di valutazione riguardanti sei paesi (Francia, Lettonia, Malta, Montenegro, Romania e Regno Unito). Israele è diventato il secondo Stato non membro del Consiglio d’Europa ad aderire alla Convenzione sulla lotta contro la tratta degli esseri umani.
La Presidente del GRETA, Helga Gayer, sottolinea nel rapporto che il fenomeno della tratta dei minori ha continuato ad aumentare, nonostante le misure legislative e le politiche adottate dagli Stati Parti contraenti della Convenzione. “La pandemia da Covid-19 ha reso i bambini ancora più vulnerabili alla tratta, e in particolare al rischio di sfruttamento online. Tutti i soggetti coinvolti nelle azioni di contrasto alla tratta di esseri umani devono intensificare gli sforzi per prevenire la tratta dei minori e predisporre approcci innovativi per tutelare i bambini”, ha dichiarato. Il rapporto contiene le principali conclusioni e raccomandazioni di uno studio sulla tratta degli esseri umani online e facilitata dalle nuove tecnologie, basato sulle informazioni fornite da 40 Stati Parti contraenti della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani, 12 ONG e 2 aziende del settore delle tecnologie dell’informazione.
Lo studio analizza l’impatto esercitato dalle tecnologie sulla tratta degli esseri umani, le difficoltà da affrontare a livello operativo e giuridico per individuare, investigare e perseguire i reati legati alla tratta degli esseri umani online e facilitati dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) e formula una serie di raccomandazioni. Esamina inoltre le strategie, gli strumenti e le buone pratiche adottati dagli Stati contraenti per superare queste difficoltà, comprendenti, ad esempio, gli strumenti di monitoraggio di Internet, di estrazione dei dati online e di analisi dei social network. La partecipazione e la cooperazione di una vasta gamma di organi pubblici e la condivisione delle conoscenze svolgono un ruolo fondamentale in questo contesto, come pure la cooperazione transfrontaliera per l’ottenimento delle prove elettroniche.
Le tecnologie per facilitare l’identificazione delle vittime di tratta, quali il riconoscimento facciale e i software che analizzano i contenuti del Web, possono essere utili per filtrare e ridurre i dati ed elaborare grandi volumi di informazioni; lo studio sottolinea tuttavia che tali tecnologie sollevano problemi etici e dovrebbero essere utilizzate unicamente da operatori debitamente formati e con conoscenze specifiche sulla tratta degli esseri umani. Inoltre, i meccanismi di auto-identificazione online e i servizi telefonici di assistenza consentono alle vittime di chiedere aiuto e costituiscono un mezzo per diffondere informazioni presso le comunità a rischio. Lo studio raccomanda di migliorare i meccanismi per le segnalazioni confidenziali online e di collaborare con le aziende private per istituire sistemi per la segnalazione di attività e annunci sospetti. I paesi dovrebbero inoltre stabilire procedure di condivisione dei dati e protocolli di cooperazione con le aziende che dispongono di dati pertinenti.
“La pandemia da Covid-19 e gli sviluppi delle TIC hanno generato cambiamenti strutturali nel modus operandi dei trafficanti. Per questo motivo, è necessario che i Paesi si adattino e offrano alle loro forze dell’ordine e autorità di giustizia penale i mezzi necessari per rispondere a un ambiente in continua evoluzione. Di fronte all’utilizzo delle TIC da parte dei trafficanti, è essenziale che i governi investano nella formazione delle forze dell’ordine, offrano delle risorse adeguate e rafforzino la loro cooperazione con le aziende private ed altre autorità nazionali”, ha dichiarato la Presidente del GRETA, Helga Gayer.
La tratta in Italia
In Italia, secondo il Ministero dell’Interno, la tratta di persone costituisce la terza fonte di reddito per le organizzazioni criminali, dopo il traffico di armi e di droga.
La normativa italiana per il contrasto alla tratta di esseri umani si basa essenzialmente sulla legge n. 228 dell’11 agosto 2003, intitolata “Misure contro la tratta di persone”e sull’articolo 18 del decreto legislativo 286 del 1998 (Testo Unico sull’immigrazione).
La protezione prevista si articola in due momenti principali: la prima accoglienza e il periodo di riflessione e la protezione sociale vera e propria, diretta all’inclusione socio-lavorativa della persona nel territorio nazionale o, dove possibile, nel Paese d’origine. Il primo di questi due momenti è disciplinato dall’art. 13 della Legge 228/2003, il quale prevede l’istituzione di uno speciale programma di assistenza per le vittime di tratta e sfruttamento, garantendo in via transitoria adeguate condizioni di alloggio, vitto, assistenza sanitaria e psicologica.
La vera e propria protezione delle vittime è invece connessa al rilascio di un particolare permesso di soggiorno, previsto dall’art. 18 del d.lgs 286/98, che rappresenta un modello avanzato in materia in quanto non è vincolato alla collaborazione della vittima nel procedimento penale contro i trafficanti o gli sfruttatori.
In generale, il sistema italiano si conforma e si fa promotore dei principi guida riconosciuti a livello internazionale, tra cui in primo luogo il principio dell’autonomia della vittima, che attraverso un programma di assistenza e di sviluppo individualizzato è portata all’autonomia, il principio dell’integrazione, che riguarda tanto i soggetti con origini e finalità diverse, tanto le stesse politiche adottate; e infine il principio di sussidiarietà, in base al quale la dimensione territoriale rappresenta il punto di riferimento su cui strutturare l’intervento rivolto alle vittime.